L'Imperatrice - I Personaggi Principali

LUCREZIA - IMPERIA

Lucrezia Cognati, in arte Imperia, nasce a Roma il 4 agosto 1481. Gli storici in realtà non concordano su date e luoghi, né tantomeno sul nome. L’unico dato certo è che nei primi anni del ‘500, con l’appellativo di Imperia, Lucrezia è una delle cortigiane più in vista di Roma, amata (e mantenuta) dagli uomini più illustri del suo tempo.

Nel mio romanzo Imperia incarna virtù e soprattutto vizi dell’universo femminile di tutti i tempi.
Ad esempio la spiccata propensione, comune a molte donne, a farsi del male da sole e ad  incapricciarsi degli uomini sbagliati, con l’ostinata e cieca illusione di poterli cambiare.
L’unico barlume di lucidità lo riserva per fortuna alla figlia, data alla luce prima di diventare una vera cortigiana. A differenza di quanto sua madre Diana aveva fatto con lei, la piccola non viene avviata e istruita verso il suo stesso destino, ma viene protetta e cresciuta in un convento, lontana da quell’ambiente, la Roma spregiudicata, affascinante e corrotta.

Alla figlia curiosamente dà il suo stesso nome, Lucrezia. L’unica ragione sensata che mi viene in mente è quella di complicare la vita a me – umile e zelante narratore.
Ma in realtà le due donne, pur assomigliandosi fisicamente, non potrebbero essere più diverse.

LUCREZIA - FIGLIA

Lucrezia-figlia quasi non conosce la propria madre. Per lei Imperia è la ricca e brillante signora che viene a farle visita di tanto in tanto con qualche regalo. Invidia la sua libertà, la sua eleganza, mentre lei è costretta a vivere tra le monache.

Pur avendo scelto di far crescere la figlia in un convento per proteggerla, Imperia non sarà comunque la migliore delle madri: se ne disinteressa completamente, la ignora, corre da lei solo nei momenti di malinconia. Lucrezia la odia per questo.
Ma la odia soprattutto perché, chiusa nella sua timida riservatezza, si sente in obbligo di riscattare, con una con una condotta esemplare e irreprensibile, i trascorsi bellicosi della madre.
Un po’ noiosetta, insomma. Severa, moralista e tormentata.
Poi, per fortuna, nel corso della storia qualcosa cambierà.

C’è un aneddoto curioso che la riguarda, riportato dagli storici e datato 1522, qualche anno dopo la fine della mia storia. Pare che, per sottrarsi alle attenzioni moleste di un certo cardinale, Lucrezia abbia tentato di avvelenarsi, per fortuna senza successo (il veleno, vedrete, sarà un tarlo di famiglia).
Ma anche se fosse accaduto prima del 1515, anno in cui si chiude la mia storia, non credo che avrei mai riportato questo episodio nel mio romanzo. Troppa santità mi stomaca.

DIANA COGNATI

E’ la madre di Imperia, nonché il suo personal trainer. Prostituta di media categoria in gioventù, intuisce che per elevarsi più in alto nella scala sociale occorre studiare ed imparare le buone maniere.

Diana è il direttore commerciale che ogni azienda vorrebbe avere. Sa pianificare, motivare, gestire tutto con intraprendenza, precisione e lucidità. Quando organizza il debutto in società di Imperia, l’impresa di famiglia, non lascia nulla al caso. Mettere all’asta la verginità della propria figlia oggi farebbe inorridire anche il più scafato degli orchi. Per quegli anni, in quel contesto, non era particolarmente scandaloso. Andiamoci piano a disprezzare sempre i nostri tempi.

ANGELO DEL BUFALO

Realmente vissuto, anche se sconosciuto ai più, è un nobile squattrinato e opportunista.
E’ il personaggio chiave della storia, attorno a lui ruota l’intera vita della protagonista. Gli storici hanno lasciato poche testimonianze sul suo conto, quindi con il suo personaggio mi sono sbizzarrita.

E’ l’uomo che ogni donna dissennata vorrebbe incontrare. Brillante, incosciente, imprevedibile, Angelo del Bufalo è amato dalle donne e invidiato dagli uomini. Assapora i piaceri della vita senza troppi scrupoli, gioca col fuoco – beato lui – senza scottarsi mai.
E’ un po’ “il cattivo” della storia, ammesso che di buoni ce ne siano.

AGOSTINO CHIGI

Grande banchiere senese, abile negli affari, anche i più rischiosi. Raffinato mecenate, appassionato d’arte e del lusso, sponsorizza e protegge numerosi artisti del suo tempo. Presta i soldi ai papi con la stessa nonchalance con cui li presta agli uomini d’arme più sanguinari.

E’ l’amante di Imperia per un lungo periodo. E’ l’uomo che ogni donna assennata vorrebbe incontrare e non soltanto perché banchiere. Nella mia storia Agostino Chigi è quello che si direbbe oggi “una bella persona”: coraggioso, solare, generoso. L’unica sua debolezza, che accetta senza troppe malinconie, è quella di amare una donna che in fondo lo considera solo una seconda scelta.

RAFFAELLO

Ovvero: un raccomandato di talento. Su di lui, perdonatemi, spenderò qualche parola in più.
Tutti conoscono Raffaello, il grande artista del Rinascimento italiano, poco si sa della sua vicenda personale, come poche tra l’altro sono le notizie certe. Forse il termine raccomandato può suonare un tantino irriverente nei confronti di un personaggio tanto illustre. Diciamo che è uno che ha saputo sfruttare bene le sue occasioni.

Nel 1508 viene chiamato a Roma, segnalato dalla corte urbinate, a dipingere le Stanze Vaticane, ma è soprattutto grazie all’appoggio del Bramante, l’architetto del papa, che diventa il pupillo di Sua Santità. L’architetto è un suo lontano parente e punta su di lui, sul suo talento di astro nascente, per oscurare la fama di Michelangelo, con cui non corre buon sangue. Forse, senza la sponsorizzazione del Bramante, Raffaello sarebbe rimasto solo un bravo madonnaro come tanti. O forse no.

Nel mio romanzo compare soltanto verso la fine. Imperia lo incontra, grazie ad Agostino Chigi, poco prima della sua morte. Non esistono prove certe, ma pare che gli abbia fatto da modella nel celebre dipinto “Il Trionfo di Galatea”.
Avrei potuto approfittare di più di un personaggio tanto illustre, barare con la storia, porlo al centro della vicenda, ma ho scelto di non farlo. Non è lui il vero protagonista della vita di Imperia, su questo le testimonianze sono molto chiare.

Nel breve ma spero intenso ritratto che ho dipinto su di lui, credo di averlo reso più umano, più vero. Se a Michelangelo, genio indomabile e selvaggio, nessuno poteva ordinare cosa dipingere, Raffaello era invece uno che sapeva stare alle regole. Attaccava l’asino dove voleva il padrone, ma nell’eseguire alla perfezione gli ordini dei committenti riusciva comunque a metterci del suo. Forse fu il solo pittore della sua generazione capace di far affiorare sulle tele l’anima delle persone che
ritraeva.

Solo le circostanze relative alla sua morte – che nulla hanno a che fare col mio romanzo – mi lasciano un po’ perplessa: si dice sia morto a causa dei suoi eccessi amorosi.
Che cosa può aver combinato di tanto eccessivo? E a trentasette anni poi? Mah.
Raffaello meriterebbe di per sé un romanzo. Magari in futuro, chissà, potrei farci un pensierino.

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